Thursday 28th March 2024,
Pinguinoeconomico

ISRAELE – UN PAESE SEMPRE IN GUERRA CON UNA SOLIDA ECONOMIA

Le recenti elezioni politiche tenutasi la scorsa settimana in Israele hanno confermato al potere la destra più conservatrice del primo ministro Netanyahu. La politica estera di Israele non cambierà, pertanto, né tantomeno quella verso l’odiato vicino palestinese, che è stato oggetto di tre invasioni nell’ultimo lustro.

Malgrado una economia “costretta a spendere” oltre il 20% del Pil in armamenti e tecnologia bellica, il Paese medio orientale riesce a mantenere una crescita costante, sebbene continuamente minacciato dalle nazioni confinanti, ora ancora più bellicose a causa della recrudescenza del fondamentalismo islamico.

Anche i rapporti con l’alleato storico, gli Stati Uniti, sono in crisi già da alcuni anni. I due Paesi si sopportano, ma non condividono assolutamente le reciproche strategie belliche e politiche nello scacchiere medio orientale e nella penisola arabica. Politicamente, Israele sembra sempre più isolata ed ormai circondata da Paesi dove prevalgono fazioni violente di fondamentalisti, il cui obbiettivo politico e militare non è ancora del tutto chiaro, se non quello di destabilizzare l’Occidente.

In questo contesto, che ammazzerebbe qualsiasi economia mondiale, Israele, invece, prospera.

Nel corso degli anni, l’economia israeliana si è andata stabilizzando e progressivamente aprendo agli scambi commerciali ed ai movimenti di capitali, attraverso riforme strutturali e privatizzazioni. In considerazione delle ridotte dimensioni del mercato interno, della scarsità di risorse naturali e della sempre critica situazione geopolitica, il ruolo fondamentale nell’economia del Paese ègiocatodall’export, che rappresenta mediamente il 40% del PIL. Le industrie ad alta tecnologia (Israele è il paese straniero con il maggior numero di aziende quotate al Nasdaq, il listino tecnologico americano) costituiscono, in particolare, il settore più dinamico dell’economia e sono ormai il vero fattore di traino dell’intero sistema economico.

Dal 2011 al 2014, l’economia è cresciuta ad una media del +3,5% annuo, mentre per il 2015 la salita del Pil dovrebbe di poco superare il +4%. Anche il debito pubblico, in rapporto al prodotto interno lordo, è in calo, anche se lieve, dal 2010 (68%) ad oggi (63%) e testimonia l’attenzione ai conti pubblici, malgrado l’onere della spesa militare per la sicurezza nazionale.

La Banca Centrale ha lasciato i tassi di interesse invariati nella riunione di marzo, malgrado l’abbassamento dei prezzi dell’energia continui ad incrementare le pressioni deflazionistiche. In questo contesto, tuttavia, beneficiando anche di una momentanea debolezza del biglietto verde, lo shekel – la divisa locale – ha recuperato circa un 3% nelle ultime due settimane.

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I tassi di interesse sono, tuttavia, già molto bassi allo 0,1%, già dallo scorso mese. Dal 2012, il tasso di riferimento è stato progressivamente abbassato dal 3% con diversi tagli, in linea con le politiche di tutte le Banche Centrali mondiali. Ora, l’economia è in leggero miglioramento, rispetto al 2014, le pressioni deflazionistiche sembrano indotte solo dal calo del prezzo dell’energia e dei tassi di interesse a zero. Tuttavia, la Banca Centrale israeliana sta monitorando la formazione di bolle nei mercati ed in particolare nel settore immobiliare.

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L’inflazione è già negativa da quasi un anno, ma è prevista in ripresa nei prossimi mesi. Sembra una frase fatta, ormai comune a tutti i banchieri centrali del mondo, che auspicano un rialzo dei prezzi al consumo dopo aver utilizzato tute le armi non convenzionali nel loro arsenale.

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Tuttavia, rispetto al grafico, l’andamento del tasso di inflazione sembra ancora ben diretto in territorio negativo. In febbraio l’indice dei prezzi al consumo è sceso del -1% sull’anno precedente, il doppio (-0,5%), rispetto a gennaio. Solo nel 2011, l’inflazione raggiungeva, invece, il 4%.

Le previsioni di crescita sono, infine, molto confortanti anche se leggermente inferiori alle stime. Nel quarto trimestre 2014 la crescita si è fermata ad un incoraggiante 6,8% su base annua, rispetto al 7,2% previsto, a causa delle violenze a Gaza che hanno provocato l’invasione dello scorso luglio. Di conseguenza, la valuta si era indebolita agevolando le esportazioni.

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Le incognite rimangono, ora che la tensione nella penisola medio orientale continua a salire. Anche l’Arabia Saudita è entrata direttamente nella contesa attaccando i ribelli yemeniti nel Paese confinante e finanziati precedentemente dagli Stati Uniti che ora li combattono. L’intervento militare, che potrebbe sfociare anche in una invasione di terra, ha già provocato la reazione verbale di Iran e Russia che lo hanno condannato. Una grossa confusione aleggia sulla zona con scontri a fuoco anche in Iraq e Siria. Tutti questi movimenti islamici sunniti o sciti, oltranzisti e fanatici, non aiutano il proliferare dell’attività economica nell’area.

E’ vero che Israele ha sbocco sui mercati occidentali, ma questo accerchiamento territoriale da parte dei musulmani non promette bene con la rielezione di un conservatore come Netanyahu, poco disponibile al dialogo e più propenso, invece, a rispondere con la forza ad ogni provocazione.

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