Saturday 20th April 2024,
Pinguinoeconomico

MERCATI FINANZIARI – IL TRUCCO INFINITO

S&P500 a pochi punti dai massimi storici e petrolio in continua ascesa, malgrado produzione e scorte siano a livelli record, mentre utili e ricavi delle aziende statunitensi continuano a scendere per il quinto trimestre consecutivo. In Cina sta scoppiando una bolla creditizia gigantesca con il numero di default in continua ascesa, mentre in Giappone Pil ed esportazioni continuano a calare. La crescita europea è ferma ed assai debole, malgrado un ingente stimolo monetario, e l’America Latina è piombata nella peggiore crisi da oltre un trentennio.

Cosa sta succedendo ai mercati finanziari che non percepiscono più alcun rischio e non accennano ad alcuna correzione, ma, al contrario, continuano a salire incessantemente?

L’enorme liquidità che continua ad inondare i mercati ed i tassi di interesse sugli investimenti a basso rischio sempre più bassi sospingono le quotazioni degli assets più rischiosi.

Questo fenomeno è replicato ormai da alcuni anni, ma quello che sta succedendo nelle ultime sedute è assolutamente sorprendente e fuori dal comune. Partiamo dal petrolio. Le aspettative per un accordo sul congelamento della produzione petrolifera ai livelli, già elevatissimi, dello scorso gennaio hanno fatto salire le quotazioni dai 25 ai 42 dollari al barile negli ultimi due mesi.

Il flop dell’accordo di Doha, nello scorso weekend, hanno provocato il calo delle quotazioni  ad inizio settimana fino a $38,50 seguito da un inspiegabile recupero fino a $44, il massimo dell’anno con un balzo dell’80% dai minimi del 11 febbraio. Sul fronte dell’offerta e della domanda dell’oro nero nulla è, invece, cambiato e, di conseguenza, le motivazioni del rimbalzo sono esclusivamente speculative. Le Banche Centrali hanno manipolato tutto: tassi, bond, valute, azioni e probabilmente ora anche le materie prime. La situazione era sfuggita di mano troppo velocemente e la crisi del settore energia stava creando preoccupanti falle nel sistema finanziario. Metà delle aziende americane iscritte dallo scorso anno alla procedura di amministrazione controllata (Chapter 11) appartengono al settore oil & gas che era cresciuto a dismisura, grazie anche alla facilità di ottenere credito ed a condizioni assai agevolate. La conseguenza sono stati decine di migliaia di licenziamenti di colletti bianchi ben remunerati che hanno smesso di restituire debiti incrementando le sofferenze bancarie.

Uno dei principali incubi delle Banche Centrali è il tentativo di risollevare il tasso di inflazione nei principali mercati mondiali, obiettivo miseramente fallito malgrado tredici trilioni di dollari già stampati congiuntamente dalle quattro principali autorità monetarie di Stati Uniti, Europa, Cina e Giappone. Poiché la componente energia è una delle più volatili e di peso, nel paniere dell’inflazione, congiuntamente a quella alimentare sorge il lecito dubbio che le autorità monetarie stiano cercando di risollevare artificialmente le quotazioni per creare un effetto volano sui prezzi che nemmeno un massiccio stimolo monetario mai realizzato è riuscito a creare.

Tornando, invece, al mercato azionario americano l’evidente peggioramento dei risultati aziendali pubblicati in questi giorni sta passando del tutto inosservato sulle quotazioni dei rispettivi titoli, i quali, al contrario, salgono in totale disprezzo dei fondamentali. Tutte e sei le grandi banche americane hanno presentato sensibili cali degli utili e dei ricavi in misura compresa tra il 20 ed il 60%, rispetto allo scorso anno. Stessa musica anche per le società tecnologiche con Intel che comunica anche il taglio dell’11% della forza lavoro pari a 12.000 unità e per le società del settore alimentare con Coca Cola e Pepsi che registrano continui cali di fatturato ogni trimestre e sensibile contrazione del business in America Latina. Complessivamente, la valutazione delle società che compongono l’indice S&P500 è ascesa ad un P/E – rapporto tra prezzo ed utile – di 24,3, un multiplo stratosferico rispetto ad una media nei cento anni precedenti intorno a 14. Ciò rivela una sopravalutazione del mercato superiore al 40% che implica un valore dell’indice intorno ai 1.300 punti, rispetto agli attuali 2.100.

Il mercato azionario sembra, tuttavia, del tutto indifferente a queste banali osservazioni e lascia stupito anche i più longevi veterani. Quello in corso è, senza dubbio, non solo uno dei più lunghi bull markets della storia americana (attualmente il terzo per durata), ma anche il più odiato. Mai era accaduto che i ribassisti venissero costantemente confinati nell’angolo e costretti ogni volta a rincorrere e ad accusare pesanti perdite. Giocare contro la potenza di fuoco delle Banche Centrali che hanno truccato tutti i mercati è sembrato, fino ad ora, una missione impossibile.

La forza di gravità non è stata tuttavia ancora stata sconfitta ed il mercato tornerà prima o tardi ai suoi valori corretti, indipendentemente dai trucchi e dalle manipolazioni utilizzati.

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