Saturday 20th April 2024,
Pinguinoeconomico

IL SOVRANO DIRITTO DI ESSERE POVERI ED INEFFICIENTI

Ogni nazione dovrebbe avere il diritto di essere male amministrata, povera ed inefficiente anche perchè questo sembra il volere della maggioranza della popolazione almeno fino a qualche anno fa.

Più recentemente invece la pesante crisi economica ha modificato la realtà ed il popolo è perfettamente consapevole che il proprio Paese non è ricco ed efficiente come altri che vorrebbe imitare ma ciò malgrado rimane attaccato alle proprie tradizioni, costumi, abitudini e per essere più espliciti privilegi che controllano il Paese. L’inerzia e le sue forze sono un’altra catena indissolubile: il cambiamento procede ma in misura molto graduale e quindi spesso quasi controproducente.

In questo contesto l’adozione di una moneta unica per 12 Paesi europei poi arrivati a 17 ha modificato la politica economica degli Stati che l’hanno condivisa mettendo a nudo i difetti strutturali e le debolezze dei cinquant’anni di economia post bellica ma lasciando anche le rispettive autorità monetarie senza la possibilità di utilizzare qualsiasi strumento per stimolare, anche se solo in via temporanea, la crescita economica in periodi di particolari congiunture negative.

Dopo la fine della guerra i tassi di cambio tra le diverse economie furono definiti in modo fisso e la creazione di nuova moneta era legata al sistema di conversione oro-dollaro in base al quale la zecca di un Paese poteva stampare carta moneta solo per equivalenti acquisti auriferi della rispettiva banca centrale. In questo modo gli squilibri commerciali che si erano creati tra Paesi più esportatori (surplus della bilancia commerciali) o più importatori (deficit) continuavano ad essere disallineati.

Gli Stati Uniti decisero arbitrariamente nel 1971 di abbandonare gli accordi di Bretton Woods del 1944 per poter svalutare il dollaro e gestire l’ampio deficit commerciale che da allora si è gonfiato a dismisura essendo gli USA un Paese che vive al di sopra dei propri mezzi importando ben più di ciò che esporta.

Chiarisco subito che la svalutazione non rende uno stato più efficiente ma lo rende più competitivo sui mercati internazionali con la discesa dei prezzi delle esportazioni e la salita di quelli delle importazioni e consente la riduzione del deficit commerciale per un certo periodo al quale può seguire una successiva svalutazione se necessaria.

In aggiunta la svalutazione è sempre stata considerata come una sconfitta politica imbarazzante per i Governi che l’hanno autorizzata anche se semplice ed efficace per risolvere anche i problemi più complicati. Giappone, USA e Gran Bretagna ne fanno ricorso da diversi anni in modo massiccio e senza alcun ritegno con grave danno per l’euro che continuando a rivalutarsi penalizza le economie europee.

Infine come ogni manovra di politica monetaria anche la svalutazione ha dei side-effects (effetti collaterali): i consumatori perdono potere di acquisto verso gli altri Paesi.

Ma al di là delle precedenti considerazioni le svalutazioni dei cambi sono un mezzo per migliorare la competitività senza causare un aumento del tasso di disoccupazione come è avvenuto e continua invece senza sosta in tutti quei Paesi europei che hanno adottato severe manovre di austerità.

I leader europei, invece, hanno pensato che ci fossero molti vantaggi dall’adozione di una moneta condivisa e non ultimo sbarazzarsi di queste ingombranti svalutazioni. I vantaggi competitivi del Paese che svaluta sono infatti bilanciati da quelli negativi dei Paesi che acquistano le merci meno care.

L’effetto positivo più evidente  è la comodità di visitare altri Paesi senza dover cambiare divisa alla frontiera ed il sistema di pagamenti è oggi molto più economico tra I Paesi dell’area euro.

Ma il sistema monetario attualmente previsto non consente alle singole nazioni di scegliere di vivere felicemente nel loro stato di inefficienza e cattiva gestione.

Ciò sarebbe stato possibile se la moneta unica fosse stata seguita anche da una unione di stati europei. Negli Stati Uniti ci sono decine (su 51) di Stati mal governati e poveri che competono con quelli più ricchi e meglio gestiti facendosi anche una feroce concorrenza per strapparsi cittadini e quindi redditi e tasse.

L’Europa  non era pronta per un simile salto in avanti o forse i suoi governanti sono stati poco lungimiranti. Quando un Paese entra in crisi profonda a causa di un eccessivo deficit commerciale e non ha più la possibilità di finanziarlo attraverso una svalutazione del cambio le soluzioni alternative sono già scritte.

Non solo il Paese è condannato a diventare più competitivo ma deve anche diventare più efficiente. Tradotto in economia deve attuare tutta una serie di riforme strutturali che gli consentano di competere sui mercati internazionali.

Il Trattato di Maastricht contiene una serie di regole semplici e dà potere alla Commissione europea  di imporre il loro rispetto: il deficit non deve eccedere il 3% del PIL ed il debito pubblico il 60% del PIL, quest’ultimo parametro è ora raggiunto solo da Finlandia, Estonia e Lussemburgo economie che hanno una rilevanza economica poco significativa all’interno dell’area euro.

Ma l’austerità aggressiva applicata in diversi Paesi europei ha generato una caduta della domanda domestica con conseguente riduzione di salari e prezzi che  attirano più turisti e aiutano anche le aziende esportatrici. Tuttavia nei Paesi dove i problemi sono più profondi, in particolare quelli dell’Europa Mediterranea, i costi in termini di tasso di disoccupazione sono stati troppo elevati mettendo a rischio il sistema politico e sociale come in Grecia ridotta al livello di un Paese emergente. Situazione non molto diversa anche in Portogallo ma anche Italia, Spagna e nell’insospettabile Francia dove i tassi di disoccupazione hanno raggiunto i massimi storici.

Certamente la Grecia aveva una alternativa: uscire dall’Euro ma i suoi leader politici, la popolazione (forse ora la pensa diversamente) hanno pensato a larga maggioranza che questa soluzione fosse anche peggiore. A distanza di qualche anno sono i numeri che parlano. Il Paese ha ancora un debito pubblico elevatissimo pari al 169% del PIL (il più alto in Europa) dopo due “write-off” (cancellazione) del debito per circa 150mld. Il Pil è crollato di oltre un quarto (25% !!) in sei anni e sono evidenti i primi segnali di deflazione (prezzi al consumo di ottobre -2% sul 2012) che potrebbero portare ad una ulteriore compressione di salari e pensioni con conseguenze negative per i consumi già collassati. In questi giorni la Troika è ad Atene e le distanze sui numeri e sulle misure da intraprendere sono abissali. Gli obiettivi non sono stati raggiunti ma Atene ha dichiarato che non intende accettare alcuna nuova misura di austerità. Dichiarazioni che passano completamente inosservate ma che solo 18 mesi fa avrebbero fatto crollare i mercati.

I Paesi dell’area euro hanno una sola alternativa obbligata: quella di federarsi con una unica autorità fiscale centralizzata di controllo e di condividere il debito consolidando quello di tutti i Paesi. Purtroppo la Germania non sarà mai favorevole a questo approccio non essendo neanche stata disponibile all’emissione di eurobond che abbatterebbero la spesa per interessi dei Paesi più fragili aumentando quella dei Paesi più virtuosi.

Finora la crisi economica ha aumentato la contrapposizione non solo tra Paesi ricchi che temono di essere obbligati a sostenere i debiti dei meno virtuosi ma anche il risentimento di quelli poveri per gli alti costi sociali del loro continuo e per ora inarrestabile impoverimento.

Non sorprende che aumenti il malcontento in tutta Europa verso la moneta unica cavalcato anche da formazioni politiche talvolta xenofobe e indipendentiste; in Germania il neo-partito anti euro ha mancato per un soffio l’entrata (4,9%) al “Bundestag” nelle scorse elezioni del 22 settembre. In Austria il partito di destra ultranazionalista ha raggiunto il 21% alle elezioni politiche in ottobre arrivando terzo ad un soffio dai due principali partiti che a malapena (26% e 24%) sono riusciti a riformare il precedente governo. In Olanda sono anni che esiste un partito xenofobo presente in Parlamento che ha anche già governato in coabitazione con altri partiti. Infine la vicina Francia dove il Partito della signora Le Pen sale nei sondaggi oltre il 20%, diventando sulla carta il secondo partito francese.

Anche l’Unione Bancaria già approvata è pericolante ancora prima di partire per il fuoco amico della Germania che non desidera che i bilanci delle proprie banche vengano messi sotto osservazione (scheletri negli armadi ?).

Manca al momento la volontà di condividere diritti e doveri mettendo da parte gli interessi di parrocchia di ogni singolo Paese. Ma gli incendi nei Paesi europei non sono stati domati e malgrado le dichiarazioni di circostanza della BCE e della UE le prospettive sono molto grigie.

L’Euro di Cipro ha già un valore inferiore rispetto a quello di Atene per le restrizioni ancora in vigore sui prelievi dai deposti bancari. Ma anche quello italiano lo è rispetto a Berlino se diminuisce il nostro potere di acquisto rispetto a quello tedesco.

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