Giovedì inizierà l’annuale convegno delle Banche Centrali mondiali, che si svolge nella cittadina montana del Wyoming e si estenderà fino alla fine del weekend.
E’ indubbio che gli interventi più attesi saranno quelli della Yellen e di Draghi, che rappresentano le due principali autorità monetarie mondiali.
Si conosce già l’argomento del discorso della responsabile della Federal Reserve, che parlerà in apertura del meeting sulla stabilità finanziaria, argomento molto caldo in virtù delle recenti perplessità di alcuni membri del Board della Banca Centrale statunitense nelle ultime riunioni.
Al contrario, è ancora ignoto l’argomento del discorso di Draghi, il quale cercherà di evitare dettagli specifici sulla fine del programma di Quantitative Easing europeo e sulla forza dell’euro, apparsa eccessiva in questo periodo, ma del tutto incontrastabile.
La conferenza acquista, inoltre, interesse in quanto si incastra in una settimana povera di dati macro economici e che segue, invece, una ottava negativa sui mercati azionari con la prima variazione del Dow Jones di oltre un punto percentuale, in entrambe le direzioni, dopo 63 settimane consecutive, la più lunga striscia negli ultimi ventidue anni.
L’argomento della conferenza è assai retorico, vale a dire come incrementare e rafforzare la crescita economica.
Tornando ai due principali relatori, la Yellen parlerà della stabilità finanziaria, argomento trattato durante l’ultima riunione della Fed di luglio e che ha destato viva preoccupazione in alcuni dei suoi membri.
Il rapporto della riunione parlava dei rischi relativi al mercato del lavoro ormai in piena occupazione e di quelli di un rallentamento nel perseguimento della politica monetaria restrittiva sul tasso di inflazione, che potrebbe sfuggire al controllo della Banca Centrale statunitense, per quanto le ultime rilevazioni mensili abbiano registrato un lieve calo della corsa al rialzo dei prezzi al consumo.
Gli investitori sono interessati, certamente, a capire il punto di vista della Chairman per bilanciare i loro investimenti nei prossimi mesi tra azioni ed obbligazioni.
Inoltre, come abbiamo già riscontrato, la direzione della politica americana condizionerà, in tempi brevi, anche quello delle altre Banche Centrali mondiali, tanto più la velocità di rialzo dei tassi statunitensi sarà accelerato.
Ulteriori considerazioni potrebbero essere esplicitate sui tempi di inizio dell’attività di normalizzazione, vale a dire di riduzione dell’attivo di bilancio attraverso la lenta, ma progressiva, vendita dei titoli in portafoglio.
Mentre la presenza ed il discorso di Draghi sono entrambi confermati, si ignorano ancora completamente i contenuti, anche generici, del suo intervento.
In realtà, il governatore dell’area euro ha dichiarato nel corso dell’ultimo meeting di luglio che non farà più alcun riferimento alle mosse di politica monetaria di Francoforte fino al prossimo autunno. Di conseguenza, sarà difficile sentirlo parlare di “tapering” o di tassi di interesse. Tuttavia, è assai probabile che la sua retorica sia ancora espansiva, malgrado i messaggi ottimisti lanciati negli ultimi mesi sulla solidità della crescita economica nel Vecchio Continente.
L’ultimo rapporto della BCE rivela, invece, quanto l’autorità monetaria europea sia preoccupata dall’eccessivo rafforzamento da inizio anno dell’euro. Le perplessità risalgono alla riunione di luglio, quando il cambio con il biglietto verde si aggirava intorno a 1,14 e rimangono del tutto confermate ora che il rapporto si è inerpicato fino a 1,18.
Alcuni economisti si aspettano, pertanto, un intervento specifico sul livello di cambio, un’affermazione verbale che possa spegnere, o almeno rallentare, la corsa alla rivalutazione della moneta unica. Tuttavia, non è chiaro se Draghi condivida le preoccupazioni del board di Francoforte o sia invece costretto ad assecondarle.
Di sicuro, l’euro forte danneggia gli sforzi della Banca Centrale di rinvigorire il tasso di inflazione, sempre molto modesto all’interno dei Paesi che hanno adottato la moneta unica.
In definitiva, gli investitori cercheranno di capire se la Fed alzerà almeno un’altra volta i tassi da qui alla fine dell’anno, mentre la Bce sarà, al contrario, assai prudente nel comunicare eventuali variazioni di politica monetaria, proprio per evitare ulteriori apprezzamenti della divisa.