Thursday 28th March 2024,
Pinguinoeconomico

LE RESPONSABILITA’ DELLA FINANZA MONDIALE

La caduta del muro di Berlino pose fine al modello politico economico marxista nella maggioranza delle dittature nelle quali era applicato, dopo anni di fallimenti ben superiori ai limitati successi. Nel continente asiatico, i governi socialcomunisti sono sopravvissuti, invece, in diversi Paesi attraverso la conversione dell’economia centralizzata verso il libero mercato, mantenendo tuttavia il controllo da parte dello Stato dei principali settori strategici. Cina e Vietnam sono gli esempi più evidenti del conseguimento di una lunga serie di successi economici con crescite mirabolanti, a scapito tuttavia di una corruzione dilagante e di notevoli sperequazioni sociali. Nello stesso contesto, i Paesi più integralisti nell’applicazione della dottrina marxista, principalmente il Venezuela e la Corea del Nord, hanno fatto sprofondare le rispettive popolazioni nella più atroce miseria.

La caduta delle economie socialiste è stata, di conseguenza, assai festeggiata nelle economie occidentali nella radicata convinzione che il capitalismo fosse ancora il solo ed unico modello economico, quello che negli ultimi decenni ha permesso la prosperità economica ad una classe media, in numero sempre più crescente.

Grazie alla ricostruzione post bellica, le economie occidentali hanno continuato a crescere, raggiungendo un benessere ed una prosperità mai così diffuse in precedenza. Il sistema sembrava perfettamente oliato da una società sempre più consumistica, che riusciva perfettamente ad autoalimentarsi, sfruttando il soddisfacimento di nuovi bisogni primari, quali gli elettrodomestici e l‘autovettura, divenuti sempre più indispensabili nell’economia moderna.

Lo scoppio della prima crisi petrolifera a metà degli anni settanta fu il primo campanello d’allarme e dimostrò che l’eldorado della crescita perpetua non sarebbe stato realizzabile all’infinito. L’impatto sull’economia planetaria, in quegli anni ancora scarsamente globalizzata, dell’incremento del prezzo dei derivati del petrolio, decuplicato in poche settimane, fu assai rilevante.

Appena trascorso il tempo per riprendersi, sopraggiunse la seconda crisi petrolifera, che mise in ginocchio in particolare l’economia a stelle e strisce, che si trovò a gestire agli inizi degli anni ottanta, a cavallo tra le presidenze del democratico Carter e del repubblicano Reagan, la più profonda crisi dalla Grande Depressione.

Quelli furono gli anni della svolta verso una politica economica più espansiva, che generarono un trentennio di crescita economica mai realizzata in precedenza. Oggi, a conti fatti, sembrerebbe che la creazione di benessere sia stata troppo veloce, grazie all’utilizzo massiccio della leva finanziaria, e che i pilastri della nuova ricchezza non siano, in realtà, così solidi. In buona sostanza, la finanza ha creato una montagna di debiti pubblici, privati e societari, che ora devono essere ripagati, mentre lo scoppio delle bolle finanziarie, immobiliari e creditizie ha avuto ripercussioni pesanti soprattutto sull’economia reale.

Il secondo campanello di allarme fu la crisi immobiliare giapponese con il conseguente crollo dell’indice Nikkey nel 1989, che da allora tratta ancora a sconto del 60% rispetto ai massimi storici: una rara eccezione.

Anche in questo caso l’esperienza non fu capitalizzata e si arrivò, dopo altri venti anni senza freni finanziari, passando attraverso lo scoppio della bolla tecnologica del Nasdaq a cavallo del millennio, al fallimento di Lehman Brothers nel 2008, vero spartiacque tra la crescita precedente e l’attuale periodo di stagnazione.

Gli anni successivi al 2009 sono storia recente e ben nota, ma caratterizzati dai nuovi interventi, che hanno modificato e distorto, forse per sempre, l’economia di libero mercato nella quale la fetta più consistente della popolazione planetaria ha sempre creduto e prosperato. Governi e Banche Centrali sono dovuti intervenire pesantemente nelle rispettive economie a sostegno di interi settori in profonda crisi, dall’automobilistico alle banche, dichiarati strategici o, diversamente, per evitare l’effetto domino di una crisi sistemica, sia finanziaria che economica, probabilmente ingestibile.

Fiumi di denaro sono stati, pertanto, versati dai governi delle principali economie sviluppate per tentare di arginare la dilagante crescita della disoccupazione e puntellare i settori in maggiore difficoltà con il risultato, tuttavia, di contribuire all’ulteriore esplosione dei debiti pubblici. L’impossibilità di proseguire nella creazione di nuove voragini fiscali nei bilanci fiscali ha imposto l’austerità con la conseguente prolungata recessione, in particolare in Europa.

Finite le munizioni, i governi si sono fatti da parte, demandando ogni intervento di sostegno alla crescita alle rispettive Banche Centrali, che hanno stravolto la teoria economica ormai familiare. I cicli economici recessivi sono stato cancellati (negli USA) o contenuti (Europa e Giappone) il più possibile, applicando manovre monetarie straordinarie e mai prima utilizzate, se non in casi sporadici (Giappone). Al settimo anno, la temporaneità dei provvedimenti implementati sembra ormai diventata strutturale, mentre l’eccessiva liquidità ha invaso i mercati finanziari trasferendo, tuttavia, solo le briciole all’economia reale, che ancora si trascina in una stagnazione che ha sensibilmente trasformato le abitudini di consumo in molti Paesi.

Abbiamo così assistito attoniti alla discesa dei tassi di interesse inizialmente a zero ed ora anche negativi con la progressiva eliminazione dei rendimenti obbligazionari e lo spostamento degli investimenti verso assets più rischiosi, quali azioni ed immobili, che beneficiano del basso costo del denaro.

I più colpiti da questo “new deal” monetario sono state le banche, già affossate da problemi strutturali legati alla modesta crescita economica, a causa della compressione ulteriore dei margini di interesse, che mette a rischio anche la loro futura esistenza. I tassi a zero sono uno scenario nuovo con il quale ci stiamo a fatica confrontando, insieme al fenomeno della bassa inflazione, e che sembra influenzerà la sussistenza di molte economie dei prossimi anni con scenari incerti ed inesplorati, ancora da valutare.

Negli anni passati le Banche Centrali intervenivano, utilizzando unicamente la leva dei tassi di interesse, per regolamentare l’inflazione e la massa monetaria, gli unici veri obiettivi dei loro mandati.

Oggi, al contrario, questi organismi monetari si sono completamente sostituiti ai governi impotenti e controllano anche il tasso di disoccupazione, la crescita economica, la quantità di credito in circolazione fino ai mercati finanziari, molto influenzati dalle loro decisioni, se non addirittura controllati anche con acquisti diretti.

Allo stato attuale, la finanza controlla l’economia mondiale come mai era successo in passato. E’ una manovra che sembra in alcuni casi azzardata per l’eccezionalità delle misure adottate fino a questo momento, che appaiono, tuttavia, sempre più definitive. Sicuramente sono divenute indispensabili in seguito alla gravità ed alla estensione dell’ultima crisi finanziaria. In aggiunta, considerata la debole crescita mondiale non sembra ci sia un piano alternativo, o quantomeno la possibilità di fare dietrofront in tempi brevi. Al contrario, dobbiamo pensare ad una possibile ulteriore radicalizzazione del fenomeno con l’adozione di nuovi interventi creativi da parte delle Banche Centrali, per smuovere le economie ancora troppo stagnanti, malgrado l’iniezione nel sistema finanziario di oltre tredici trilioni di dollari, solo nell’ultimo lustro.

 

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