Un recente report della filiale di St Louis della Fed ha messo in luce i rischi di una prossima recessione dell’economia a stelle e strisce.
E’ indubbio che l’attuale ciclo economico statunitense, uno dei più lunghi di sempre, giungerà quanto prima alla fine ed il Paese entrerà in una nuova recessione.
Se l’economia abbia già raggiunto l’apice del ciclo e si avvii ad un prossimo declino non è facile sostenerlo e tantomeno pensare che i mercati finanziari, ed in particolare quello azionario, possano dare dei segnali al riguardo.
A tal proposito, la recente forte correzione di Wall Street nella prima settimana di febbraio ha insinuato nuovamente il dubbio che la Borsa sia un perfetto anticipatore del ciclo economico.
E’ possibile che alcuni indicatori siano molto tirati e che lascino intendere un futuro cambiamento del ciclo economico, anche se non immediato.
I segnali da monitorare riguardano, in particolare, il livello di occupazione e il tasso di risparmio.
Il tasso di disoccupazione è ai livelli massimi, intorno al 4% e si fatica a trovare manodopera qualificata. In questa situazione le pressioni sui salari aumentano, l’inflazione tende a risalire ed i tassi di interesse devono essere adeguati al rialzo.
Il tasso di risparmio è, all’opposto, sceso ad una percentuale intorno al 3% del reddito disponibile, molto vicino ai minimi assoluti. Tenuto conto che i livelli di indebitamento privato sono già assai elevati e i crediti al consumo (carte di credito, prestiti allo studio e finanziamenti auto) hanno raggiunto massimi assoluti, le vendite al dettaglio non potranno continuare a crescere all’infinito, come il dato del mese di gennaio ha evidenziato.
Poiché i consumi sono il principale contributore del Pil americano, è probabile che ci troviamo vicino al picco del ciclo economico e che nei prossimi mesi possa iniziare un lieve rallentamento.
I MERCATI ED IL CICLO ECONOMICO
La storiella che la Borsa anticipi gli andamenti dei cicli economici, in entrambe le direzioni, non trova sempre seguito. Nelle ultime parti degli ultimi cicli, almeno da inizio secolo, i mercati sono crollati principalmente per l’effetto bolla sia nel 2001 che nel 2008. Lo stesso rischio si sta manifestando anche ora, in quanto le valutazioni non sono mai state così elevate.
In aggiunta, in questo ultimo periodo di espansione la percentuale di americani che hanno investito in azioni è salita quasi al 50%, un livello assai elevato, che rischia di avere un effetto pesante sui consumi, qualora gli indici dovessero virare bruscamente verso il basso.
IL RUOLO DELLA FED
E’ indubbio che la strabiliante performance di Wall Street dal 2009 ad oggi sia stata ampiamente agevolata dalla politica ultra espansiva della Federal Reserve.
Adesso che la Banca Centrale statunitense sta togliendo il piede dall’acceleratore ed addirittura cambiando atteggiamento di strategia monetaria, l’euforia sui mercati sembra per lo meno scemata. Inoltre, la Fed è consapevole che il ciclo economico positivo sia destinato, prima o poi, ad esaurirsi e di conseguenza deve ripristinare le munizioni prima della prossima crisi.
I proiettili da sparare si chiamano tassi di interesse ed il livello attuale al 1,5% è troppo basso rispetto al 5,5% del 2008, quando fallì Lehman Brothers.
CONCLUSIONI
Lo storno di Wall Street della prima settimana di febbraio, per quanto ampiamente recuperato, ha comunque dimostrato che i mercati azionari non sono invincibili e non possono sempre salire, sfidando la forza di gravità.
In aggiunta, la volatilità, sopita per diversi anni, è riesplosa violentemente. I tassi di interesse sono destinati a salire, un evento che non piace ai mercati finanziari.
In caso di ulteriore correzione, questa volta i mercati avranno solo il paracadute dei buy backs azionari, ma non quello della Fed, che non solo resterà a guardare, ma sarà probabilmente costretta ad inasprire la politica monetaria anche con mercati in discesa.