Friday 19th April 2024,
Pinguinoeconomico

IL COLLASSO DELLA ABENOMICS – PRIMA PARTE

Crolla lo YEN e vola l’inflazione. Shinzo Abe, primo ministro giapponese dal dicembre 2012, sembra aver ottenuto il suo scopo. Ma in realtà l’effetto boomerang è devastante e la politica monetaria espansiva, portata a livelli estremi dalla coppia Abe e Kuroda, il presidente della banca centrale giapponese, porterà ad un collasso della già traballante economia nipponica.

Ho già descritto , in passato, i rischi connessi al tentativo in atto, una sorta di ultima spiaggia per una economia che ha trascorso la maggior parte degli ultimi 25 anni tra recessione e deflazione con pochi rimbalzi. Il Giappone, inoltre, detiene alcuni record poco incoraggianti, tra i quali la popolazione più vecchia del mondo con una età media superiore ai 46 anni (Germania ed Italia seguono a 45), un tasso di fertilità tra i più bassi del pianeta ed una popolazione che si riduce già da alcuni anni per la totale chiusura agli immigrati. Dallo scorso anno, nell’arcipelago asiatico si vendono tristemente anche più pannolini per anziani che per neonati. Un Paese pertanto in forte declino, ben lontano dai fasti post bellici che ne hanno fatto la prima potenza economica al mondo, fino alla fine degli anni ’80 quando in Giappone scoppiò una gigantesca bolla immobiliare e la Borsa crollò dell’80% negli anni successivi.

Tornando all’ultimo biennio, la politica di “money printing” adottata con l’obiettivo di svalutare lo yen, potenziare l’export ed aumentare i consumi privati non ha raggiunto gli effetti desiderati. Svalutare lo yen ha prodotto l’opposto del risultato sperato. Le esportazioni non sono infatti cresciute, mentre l’inflazione è schizzata da tre mesi al 3,5%, un livello eccessivo, oltre al 2% indicato dall’autorità monetaria, che ha depresso i consumi, già penalizzati dall’incremento dell’IVA dal 5% all’8%, introdotto il primo di aprile.

Infine il saldo della bilancia commerciale nipponica si è sensibilmente deteriorato, registrando per la prima volta in venti anni, un saldo negativo. La svalutazione, lo ribadisco, crea alcuni vantaggi nel breve periodo, ma successivamente un Paese che svaluta si impoverisce.

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(Japan’s current account over the past two decades.)

La bilancia commerciale nipponica non è inoltre l’unica variabile economica per misurare la prosperità del Paese. Anche se la svalutazione avesse infatti successo, il risultato positivo sarebbe comunque transitorio. I consumatori giapponesi stanno infatti vedendo il loro potere di acquisto erodersi, non solo a causa dell’incremento dell’IVA, ma anche per l’aumento dei prezzi dei beni importati ed in particolare i prodotti energetici, saliti in modo considerevole, dopo la chiusura di quasi tutte le centrali nucleari.

Le aspettative positive sull’incremento dell’export sono state velocemente tradite. La bilancia commerciale ha segnato ad agosto il 41esimo mese di deficit consecutivo, mentre, per la prima volta in oltre un ventennio, il saldo tra esportazioni ed importazioni è stato negativo nel 2013.

In sintesi, la svalutazione assicura un vantaggio temporaneo per un settore di nicchia dell’economia – le aziende esportatrici – mentre impoverisce tutti i consumatori, indistintamente. Nel lungo periodo, anche i prezzi domestici si aggiusteranno verso l’alto, le aziende esportatrici vedranno il costo delle loro produzioni crescere e perderanno il beneficio positivo della svalutazione del cambio. Ma la febbre del deprezzamento della divisa è una corsa frenetica al ribasso, nel tentativo illusorio di avvantaggiarsi rispetto alla concorrenza. Gli Stati Uniti hanno iniziato a svalutare il dollaro da almeno 10 anni, seguiti dalla Gran Bretagna. Poi il flusso di denaro ha inondato i Paesi emergenti, le cui monete si rivalutano troppo velocemente, salvo poi crollare sotto il peso di pesanti deficit commerciali e tassi di inflazione elevati. L’euro è rimasto il fanalino di coda e Draghi ha dovuto adeguarsi, sotto le forti pressioni della Francia, il cui export sta agonizzando, superato anche dal “made in Italy” ed incalzato dalla Spagna e dal Portogallo.

L’effetto boomerang dell’Abenomics si è propagato su molti settori dell’economia. La crescita è crollata, con un Pil che nel secondo trimestre è sprofondato del -7,1%, molto oltre le più negative previsioni che stimavano il calo non oltre il -4,5%, considerando anche l’impatto dell’incremento dell’IVA. Nel primo trimestre la crescita era stata invece positiva del +6%, ma solo per l’aumento dei consumi, illudendo che le manovre economiche implementate dal governo e della Banca Centrale avessero avuto un impatto positivo.

E’ vero che l’introduzione dell’IVA sballa i conti ed ogni valutazione andrà pesata in un periodo più ampio. Tuttavia, tutti i dati macroeconomici usciti, da aprile in avanti, sono stati peggiori delle attese, in misura considerevole.

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(Japan – annualized quarterly GDP growth rate)

All’opposto, il deprezzamento dello yen ha provocato una inaspettata e repentina crescita dei prezzi al consumo. Dal mese di aprile, il tasso medio si è attestato sopra il 3,5%, ben al di sopra dell’obiettivo minimo del 2%, auspicato dall’autorità monetaria. La solita conferma che quando l’inflazione riparte non la si controlla. Ovviamente, il principale responsabile è solo l’aumento dell’IVA e quindi l’inflazione è ancora considerata molto bassa, una banale scusa per continuare la folle politica espansiva di stampare denaro. Infine, il desiderato aumento dei salari non si è verifiato e le aziende continuano anzi a ridurre gli emolumenti. Aumenti dei prezzi e salari stabili, od addirittura in discesa, stanno erodendo il potere di acquisto del consumatore nipponico con conseguenze negative su tutta la filiera della crescita economica.

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(Japan’s annual CPI growth rate.)

Nel ventennio precedente il consumatore giapponese ha ridotto i consumi per la deflazione strisciante che invitava a spostare nel tempo le abitudini di spesa. Oggi rischia l’esatto opposto ma con le stesse conseguenze. Meno reddito e prezzi più elevati riducono il potere di acquisto. Abe e Kuroda ce l’hanno fatta ad impoverire ulteriormente la popolazione, ma la stampa economica non li denuncia, anzi li incensa come trionfatori.

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