Quella appena trascorsa è stata una settimana abbastanza burrascosa per il biglietto verde, sceso nei confronti della moneta unica a livelli non visti dal settembre 2018 – oltre quota 1,16, – mettendo nel mirino 1,22, minimo di inizio 2018.
Anche la partenza di questa ottava non si discosta dalle precedenti e la divisa statunitense è scivolata oltre 1,17.
Il dollaro è in difficoltà anche nei confronti delle altre monete più forti, tra le quali lo yen e verso il quale è sceso al di sotto di quota 106, che rappresenta il minimo da inizio marzo. Persino il dollaro australiano, in difficoltà da anni rispetto all’egemonia della valuta americana, è riuscito a risalire ai livelli del luglio 2019 rispetto alla moneta di Washington.
LE PRINCIPALI CAUSE DI DEBOLEZZADopo anni di supremazia, il biglietto verde sembra aver iniziato il viale del tramonto e gli analisti si chiedono se la debolezza sia temporanea o addirittura strutturale.
Tra le ragioni di questo cambio di direzione se ne possono identificare diverse, ma evidenziamo le principali o quelle più rilevanti per i mercati finanziari e per le economie mondiali.
DEBITO E DEFICIT PUBBLICILa gestione della crisi innescata dalla diffusione del virus ha richiesto il pesante intervento statale per sostenere famiglie e imprese durante il lockdown ed avviare una veloce ripresa dell’economia. Tale operato ha tuttavia generato un sensibile aumento del debito pubblico, il quale in questo contesto di pochi mesi è salito di 3,5 trilioni di dollar,i passando da $23 a $26,5, mentre il deficit sfiora già la cifra record di tre trilioni, a poco più di due mesi dalla scadenza dell’anno fiscale (30 settembre) con il rischio che si avvicini ai $4 trilioni.
La dimensione di tali somme sono state ignorate nei mesi passati, sia dai politici che dagli economisti, in quanto ritenute indispensabili per rilanciare l’attività economica, ma ora pesano come un macigno sui conti della prima economia mondiale, sempre più schiacciata dai debiti che non si possono più nascondere.
In aggiunta, va sommata l’espansione dell’attivo di bilancio della Federal Reserve da quattro a sette trilioni di dollari, nel tentativo di evitare una nuova crisi finanziaria come nel 2008 e scongiurare un crollo dei mercati azionari.
Tale politica, ritenuta essenziale e imprescindibile, ha un costo nel lungo periodo che si riflette sulla debolezza del dollaro anche per i rischi di inflazione che si potrebbero generare, qualora il massiccio stimolo monetario riesca prima o poi a defluire dai mercati finanziari verso l’economia reale.
LA PERDITA DELLO “STATUS” DI BENE RIFUGIOQuando si parla di valute rifugio si fa quasi esclusivamente riferimento al franco svizzero ed allo yen. Tuttavia, ci si dimentica frequentemente che gli Stati Uniti sono ancora la prima economia mondiale e che oltre la metà degli scambi commerciali mondiali avvengono in dollari, oltre ad essere la principale piazza finanziaria mondiale che attira investimenti da tutto il pianeta. Tutte motivazioni che non sono tuttavia più sufficienti a sostenere oggi la forza del biglietto verde, la cui debolezza è rimarcata recentemente dall’imponente rally dei metalli preziosi, in particolare oro ed argento, che si sono svegliati da anni di “bear market” e puntano a superare i loro rispettivi massimi storici del 2011 dopo anni di quotazioni depresse, sostituendo il dollaro nel ruolo di “moneta” rifugio.
GLI AIUTI FISCALI
Ancora una settimana ed oltre trenta milioni di americani perderanno il sussidio statale di $600 al mese, che li ha tenuti finanziariamente in vita negli ultimi quattro mesi. In diversi casi, il sussidio è stato più sostanzioso rispetto a quanto percepito in busta paga creando alcune perplessità nella stessa classe politica che lo ha deliberato.
Difficile di conseguenza pensare che tale contributo possa essere rinnovato per pari importo. E’ presumibile, invece, che il pacchetto fiscale sarà prorogato, almeno fino a fine anno sebbene non così generoso. Sembra al momento che venga sostituito dal 70% del reddito percepito prima della perdita del posto di lavoro, un importo comunque ancora significativo.
Tuttavia, in entrambi i casi l’impatto sul dollaro dovrebbe essere negativo sia per la debole crescita economica, che per l’ulteriore aumento del debito pubblico.
LA CADUTA DEL PIL
A fine mese usciranno i dati preliminari del Pil del secondo trimestre, che si preannunciano molto pesanti con un calo previsto tra il trenta ed oltre il cinquanta per cento, rispetto ai primi tre mesi dell’anno. Tuttavia, qualora la discesa dovesse superare il quaranta per cento, l’impatto sul biglietto verde non sarà favorevole. Anche qualora fosse migliore delle attese, la discesa del Pil americano sarà largamente superiore a quella europea e di conseguenza la divisa americana dovrebbe deprezzarsi nei confronti dell’euro e delle altre valute forti.
IL MEETING DELLA FEDERAL RESERVE
Due sono le minacce che la Fed non ha sotto controllo: la diffusione del virus nel Paese e la risposta fiscale da parte del governo che potrebbe essere molto deludente per il mercato.
Per tali motivi la Fed sarà molto compiacente ed interventista, mantenendo una politica monetaria ultra accomodante che non dispiacerà ai mercati azionari.
UN DESTINO SEGNATO
Le motivazioni indicate sono tutti fattori che potrebbero ulteriormente indebolire nelle prossime settimane la divisa americana, riportandola verso quota 1,20-22 nei confronti della moneta unica e 100 rispetto allo yen giapponese.
L’impatto sui mercati azionari è più difficile da valutare, ma un dollaro debole non ha mai aiutato Wall Street, pur con il massiccio intervento esterno della Banca Centrale domestica, con listini già alle prese con una stagione di trimestrali assai negativa e dichiarazioni di bancarotte aziendali in continuo aumento