Monday 07th October 2024,
Pinguinoeconomico

LA RIPRESA EUROPEA E’ ALLA DERIVA

La scorsa settimana il deludente dato sulla crescita del Pil europeo nel primo trimestre ha gelato non solo i mercati, ma anche la pletora di ottimisti che sputano previsioni economiche, perennemente disattese.

La ripresa è pertanto molto fragile. Forse è meglio parlare di tentativo di stabilizzazione, visto che i debiti sovrani continuano a crescere e del pareggio di bilancio non c’è alcuna ombra, Germania inclusa. In aggiunta, i tassi di disoccupazione non scendono, mentre le banche riducono ancora i prestiti a famiglie ed aziende e ricorrono ad una nuova serie di aumenti di capitale, per rispettare requisiti patrimoniali che continuano a deteriorarsi. In alcuni Paesi la differenza tra entrate ed uscite si è ridotta, in seguito ad alcuni piani di austerità molto severi e all’incremento dell’imposizione fiscale, anche se ancora lentamente per l’aumento della spesa sociale.

La BCE ha, nel frattempo, dal 2011 in avanti, grazie ai suoi interventi (LTRO e tassi a zero), innalzato la crescita dell’offerta di denaro, ma l’aumento è andato decrescendo negli anni successivi. Qualora il rallentamento dovesse proseguire, provocherebbe uno sgonfiamento delle bolle finanziarie create nell’ultimo quinquennio, con impatto negativo sull’attività economica.

Tuttora, 14 su 18 Paesi dell’area euro hanno un debito superiore al 60%, il parametro di Maastricht, ora ribattezzato “fiscal compact”. Si tratta tuttavia di due repubbliche baltiche, oltre a Finlandia e Lussemburgo, Stati economicamente ininfluenti.

Il debito medio dell’area Euro, in rapporto al Pil, si attesta al 92% e rimane oltre il 50% rispetto alla soglia prevista (60%). Germania, Austria, Estonia e Lettonia sono gli unici Paesi nei quali il rapporto è calato dal 2009 ad oggi, mentre tutte le altre nazioni hanno proseguito ad indebitarsi.

Dopo le gravi crisi dell’Italia e della Spagna, è la Francia il grosso punto interrogativo europeo nell’ultimo biennio. Disoccupazione record, grandi aziende che continuano a chiudere, crescita piatta ed export in calo sono i punti deboli del Paese transalpino.

Non è da meno l’Olanda (-1,4 Pil I trimestre sul 2013), Paese nel quale sta scoppiando la bolla immobiliare con tutto il suo pedaggio.

Oltretutto in Europa non ci sono scuse atmosferiche da addurre come negli Stati Uniti. L’inverno è stato mite e senza eccessive nevicate. Si è persa pertanto quella trazione che sembrava comparsa nell’ultimo trimestre dello scorso anno. Ora ci si affida ad un altro stimolo monetario della BCE, come l’ennesima ultima spiaggia. L’economia europea (EU a 18) è cresciuta di un modesto +0,2% rispetto al quarto trimestre 2013. Si tratta del quarto trimestre di espansione, ma al di sotto della previsione del +0,4%.

Se non fosse stato per la performance della Germania (+0,8%) e della Spagna (+0,4%), non ci sarebbe stata alcuna crescita nell’eurozona. I numeri dovrebbero servire da sveglia ad un continente che da mesi si sta crogiolando nella compiacenza dei mercati finanziari con spreads ai minimi storici ed indici azionari ai massimi pre-crisi, dimenticando però che nessun problema da allora è stato risolto, ma solo rimandato.

In questo contesto la BCE potrebbe tagliare i tassi a zero dall’attuale 0,25%, ma potrebbe anche imporre tassi di interesse negativi per i depositi bancari presso la banca centrale, per spingere gli Istituti di credito ad incrementare prestiti ad aziende. Infine la BCE potrebbe anche acquistare bond governativi o societari sui mercati finanziari per aumentare l’offerta di moneta nell’economia.

Qualora tutti questi interventi fossero implementati, riuscirebbero ad incrementare l’inflazione fino al +0,7%, dall’attuale +0,5%, ma ancora ben al di sotto dell’obiettivo del +2%. La bassa inflazione, che in alcuni Paesi (Grecia e Portogallo) si è già tramutata in deflazione, rende più difficoltoso per gli stati più indebitati ridurre il loro debito. Infine diminuisce la minaccia che l’eurozona possa cadere nella spirale deflazionistica che uccide la crescita e gli investimenti produttivi.

Si tratta però di interventi da disperati. Paesi con alto debito o con un rapporto debito/Pil insostenibile non trarranno alcun beneficio da questi nuovi stimoli monetari. La deflazione è la principale scusa delle banche centrali per continuare a stampare moneta, che non arriva alle economie, ma crea solo gigantesche bolle speculative.

Nel frattempo i mercati azionari hanno reagito in modo scomposto. I più penalizzati sono stati quelli portoghese, greco ed italiano che più avevano beneficiato del ritorno di euforia sui Paesi periferici. Dopo il ritorno sul mercato dei capitali di Irlanda (dicembre), Portogallo (marzo) e Grecia (aprile) ed i nuovi record di rendimenti minimi conseguiti dagli stessi bond governativi, il vento è cambiato ed in pochi giorni gli spreads si sono alzati anche di 30 basis points. Forse solo qualche presa di beneficio dopo la sbornia di quasi due anni, oppure un inizio di un nuovo malessere, in attesa di vedere il termometro dell’euroscetticismo nelle elezioni europee del prossimo weekend.

In conclusione, l’Europa è ancora nei guai, dopo solo alcuni mesi nei quali alcuni dati lasciavano presagire una incoraggiante ripresa. Ora ci si accorge che le performance di molto Paesi sono al di sotto delle aspettative. Dopo anni di incentivi fiscali (spesa pubblica ed alto deficit) e monetari, i dati confermano che le radici dei problemi non sono state estirpate, malgrado una severa austerità che ha impoverito, ormai irreparabilmente, alcune economie periferiche del vecchio continente.

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