La politica recente delle Banche Centrali dopo la Grande Recessione, post fallimento di Lehman Brothers, ha creato una società sempre più dipendente ed assuefatta al debito, annullando i cicli economici negativi (recessioni) ed abbattendo i tassi a zero, prima nelle economie sviluppate e poi riducendoli anche in molti Paesi emergenti.
Purtroppo, la situazione di partenza pre-crisi era già piuttosto deficitaria, caratterizzata da un ciclo economico molto espansivo, frammentato da brevi recessioni, ma con un livello crescente di debito, che nel medio e lungo periodo erode la capacità di spesa e di investimenti dei soggetti che ne usufruiscono: stati, aziende e privati.
L’attuale strategia della Fed e delle altre Banche Centrali sembra indirizzata a creare una serie continua di crescite economiche artificiali, seguite da altrettanti scoppi di eventuali bolle, create pensando di poter ridurre l’estensione temporale dei crolli economici e dei mercati finanziari, grazie alla creazione di ulteriore debito e del denaro a costo zero.
La speranza dei tassi a zero è l’illusione della autorità monetarie di accelerare la ripresa economica, spingendo governi e privati ad indebitarsi ulteriormente. Tuttavia, come più volte sostenuto dall’autore in questo blog, la manipolazione dei tassi di interesse è un esercizio pericoloso, in particolare quando è protratto nel tempo. L’economia non è infatti un auto ed i tassi di interesse il pedale dell’acceleratore. I tassi di interesse devono e possono avere, invece, un ruolo di moderatore, allineando l’output – il prodotto – con la domanda nei periodi di debolezza. Quest’ultima è però in calo e non può essere drogata perennemente, solo grazie al denaro a costo zero.
Negli Stati Uniti, il presidente Obama e la Fed rivendicano che la crescita economica al +2,2% ed il tasso di disoccupazione al 5,5% siano il frutto della politica aggressiva di “quantitative easing” adottata dalla Banca Centrale americana negli ultimi sei anni. Con loro una pletora di media, finanziari e non, che certificano questo risultato, come straordinario.
Sfortunatamente, invece, l’ultimo boom economico o la debole ripresa post Lehman Brothers è assai artificiale. I debiti continuano a crescere, soprattutto negli USA. Quello pubblico è praticamente raddoppiato dal 2008 ad oggi, passando dai $9,5 trilioni a $18,2. I debiti privati sono cresciuti del +2,5% nel 2014, il ritmo più elevato dal 2010. I mutui sono anch’essi saliti del +1,5%, mentre i debiti per finanziarie gli studi del +6,6%, fino ai finanziamenti auto che volano del +9,6%. Questi ultimi sono inoltre in piena bolla “subprime”, come accadde nel 2007-2008 per i mutui ipotecari, con un incremento del 100% dal 2010, passando dal 20% del totale dei finanziamenti auto al 27% ad inizio anno. Questi sono proprio i crediti che vanno in sofferenza, quando l’economia rallenta ed è quanto sembra accadere all’economia americana.
Dobbiamo, tuttavia, sempre chiederci se l’attuale boom/ripresa, sempre negli Stati Uniti (ma non è diverso nel resto del mondo) sia costruita su valide fondamenta. In altre parole, se la debole ripresa economica sia trainata da significativi incrementi di produttività ed incrementi dei salari reali.
La produttività è cresciuta meno del +1% medio negli ultimi tre anni, mentre i salari reali – al netto del tasso di inflazione – negli ultimi sette anni sono diminuiti del -4,9% per i lavoratori con un basso livello di istruzione; – 2,5% per coloro che hanno frequentato il college, mentre sono saliti di un modesto +0,2% tra coloro che hanno una professionalità molto elevata.
In aggiunta, è necessario verificare se la “presunta” crescita si fondi su nuovi investimenti in aziende e macchinari. Il tasso di anzianità negli Stati Uniti delle aziende e dei macchinari è, invece, ora il più vetusto di sempre.
Attualmente, con il crollo del prezzo del petrolio, è inoltre evidente che lo “shale” boom (la tecnica di frammentazione del terreno per estrare il greggio) sia stata un’illusione di prosperità. Oltre il 92% dei posti di lavoro, creati dopo la Grande Recessione, sono stati generati nella nuova corsa all’oro nero. Adesso che la bolla è scoppiata, già 30.000 occupati sono stati persi nel settore, in soli sei mesi, e la metà in Texas.
Il prezzo del greggio è crollato da $110 del luglio scorso agli attuali $50 ed alcuni analisti ora lo prevedono in ulteriore picchiata a $20. Pertanto, la carneficina rischia di essere solo all’inizio: non solo massicci licenziamenti, ma anche numerose società che sono già fallite ed altre falliranno con conseguenze negative per il sistema finanziario (banche) che hanno sostenuto il settore con oltre $1 trilione di prestiti.
Stesso leit-motiv anche per il settore immobiliare e delle costruzioni e nello specifico gli aumenti dei prezzi delle case ed i costi di costruzione. In seguito alla crisi finanziaria post 2008, i prezzi immobiliari avrebbero dovuto scendere molto più rispetto a quanto avvenuto in altri settori della vita economica, come avvenuto ora per il petrolio o per le azioni tecnologiche ad inizio secolo. I prezzi sarebbero dovuti rimanere compressi e sacrificati, almeno per un altro decennio.
Inoltre, la differenza tra domanda ed offerta, all’apice della crisi immobiliare, avrebbe dovuto portare ad una sensibile correzione delle quotazioni che in parte è avvenuta, ma i prezzi hanno recuperato in tempi rapidissimi i livelli pre-bolla. L’incremento è stato trainato da investitori professionali e fondi di investimento immobiliari, alla ricerca di rendimenti più remunerativi nel settore immobiliare ed usufruendo dei tassi di interesse sui mutui ai minimi storici.
Tuttavia, il settore sta raggiungendo segnali di riscaldamento e sovra valutazione allarmanti, con la percentuale di proprietari a livello più basso degli ultimi 40 anni ed il numero di case non abitate oltre i 18 milioni di unità, un numero raggiunto nel biennio 2008-2009, quando la prima bolla immobiliare deflagrò.
Il denaro facile sistemerà ogni problema?
L’attuale politica della Fed e delle Banche Centrali sembra indirizzata ad evitare, ad ogni costo, il rischio di una nuova recessione ed il crollo dei mercati finanziari, azionari ed obbligazionari.
Uno delle cause scatenanti della crisi finanziaria del 2008 è stato, in particolare nelle economie anglosassoni, l’elevato livello di debito. Tuttavia, invece di ridurli e costruire una ripresa su basi più solide e non oltre i propri mezzi disponibili, la Fed ha abbassato i tassi di interesse per un periodo indefinito, per spingere governi e privati ad indebitarsi ancora più pesantemente.
In sintesi, manipolare i tassi di interesse all’infinito è un gioco molto pericoloso, perché crea una falsa illusione di prosperità. Induce infatti a pensare che, poiché il denaro costa nulla o poco, indebitarsi sia la migliore opportunità per sostenere i consumi. Tuttavia, anche chi utilizza la leva finanziaria (forme di finanziamento di terzi) non sempre è consapevole che estinguere un debito non sia una cosa semplice, anche con tassi di interesse così contenuti.