La ripresa americana è presente nei numeri. Il Pil cresce ininterrottamente dal secondo trimestre 2009. Tuttavia, come già ampiamente evidenziato, si tratta della più modesta crescita post recessione dal dopoguerra e con una pesante aggravante: la politica monetaria aggressiva e scellerata della Federal Reserve con il suo impatto rilevante sui mercati finanziari, ma modesto e forse controproducente sull’economia reale.
Nei periodi post recessivi l’economia americana è sempre cresciuta a tassi superiori al 4%, a volte anche oltre. In questi ultimi quattro anni e mezzo di crescita la media non supera l’1.8%, malgrado la FED abbia stampato oltre tre trilioni di dollari (QE) e abbassato i tassi a zero sin dal 2008, come mai avvenuto in precedenza.
Facendo riferimento alle statistiche ufficiali sui salari del 2012, il 40% della forza lavoro guadagna meno di $20.000 l’anno, il 53% meno di $30.000, e il 73% meno di $50,000. Il salario medio si attesta a $27.519. Parliamo sempre di reddito lordo e quindi il netto in busta paga è sicuramente inferiore.
La linea di povertà per una famiglia di quattro persone nel 2013 è stata tracciata a $23.550.
Nell’ultimo quinquennio gli unici redditi cresciuti sono stati solo quelli della parte molto benestante della popolazione, la quale ha goduto di compensi variabili (bonus) e del rialzo delle quotazioni azionarie ed obbligazionarie. Tuttavia, i consumi dell’1% degli americani che guadagnano oltre $200.000, dei quali lo 0,4% supera il milione di dollari, non sono però sufficienti a compensare il calo dei redditi della quasi totalità dei cittadini e l’effetto ricchezza auspicato dalla Fed si sta trasformando in un boomerang.
Il fenomeno non è nuovo e le responsabilità vanno condivise anche con il precedente presidente della Fed: Alan Greenspan. Quando l’autorità monetaria si accorse ad inizio millennio che i redditi medi delle famiglie avevano smesso di crescere, anche a causa della forte innovazione tecnologica introdotta negli anni precedenti, il governatore sostituì il delta del mancato reddito con una nuova espansione creditizia alimentata, in alcuni periodi, attraverso tassi di interesse troppo bassi. Dopo alcuni anni si formò una delle più incredibili bolle immobiliari mondiali, che scoppiò trascinandosi dietro il fallimento di diverse banche e mise in ginocchio l’intera economia mondiale, che da allora non si è mai più ripresa. Gli americani utilizzarono l’incremento del valore immobiliare delle loro abitazioni come un bancomat. Quando l’immobile si apprezzava, ottenevano dalla propria banca una estensione del mutuo, che riversavano nell’economia reale, alimentando i consumi e sostenendo artificialmente la crescita economica. Il seguito del film è storia tristemente nota.
Nessuno dei grandi temi derivati da quella crisi è però stato risolto. Le politiche monetarie eccezionali hanno spostato in avanti il problema, creando però nuovi debiti per stati, imprese e famiglie, con un peso ormai non più sostenibile.
Gli Stati Uniti sono un Paese sempre più indebitato da oltre un trentennio, ma ora la campana sta per suonare. Il mercato azionario ha iniziato a tremare (-4,2% in una settimana), i tassi di interesse hanno incominciato a salire, i risultati aziendali sono molto deludenti rispetto alle attese, con continui cali dei fatturati. Infine la banca centrale è molto dibattuta e lancia messaggi confusi. Ha iniziato il “tapering” (il lento ritiro del QE), ma non è per nulla convinta che l’attuale ripresa sia stabile e duratura. Il tasso di disoccupazione migliora, ma perché i cittadini smettono di cercare lavoro sfiduciati.
Il 74% della popolazione dichiara che la recessione non è mai finita. Per loro è difficile od impossibile trovare un lavoro e, se ci riescono, solo a salari molto modesti. Questa percentuale di cittadini non ha probabilmente partecipato all’indigestione finanziaria di inizio millennio, beneficiando degli incrementi dei prezzi immobiliari o di azioni e obbligazioni. Per contro, ha invece subito anche l’erosione dell’inflazione sui propri redditi. Benzina e generi alimentari sono infatti aumentati in modo esponenziale negli Stati Uniti, come in tutto il mondo.
Quanti altri trilioni dovrà stampare la FED per convincere la popolazione che la recessione è finita ? La creazione artificiale di denaro impatta negativamente su gran parte della popolazione. La ripresa dei valori immobiliari ha reso troppo costoso l’acquisto di un appartamento, anche con la compiacenza di mutui a tassi di interesse molto bassi. Di conseguenza i prezzi degli affitti hanno raggiunto in molte località livelli record. Inoltre i tassi a zero non remunerano sufficientemente gli investimenti a basso rischio, deprimendo i risparmi di coloro che non vogliono rischiare il proprio capitale.
Il danno è fatto e non ci resta che aspettare: il consumatore americano è sotto grande pressione. I deboli incrementi dei consumi natalizi e le chiusure di diversi supermercati da inizio anno, purtroppo lo confermano. Il principale motore dell’economia a stelle e strisce (68% del PIL) è al capolinea: debiti e bassi salari sono un grosso freno all’espansione infinita del consumismo americano, che si sta logorando anche più rapidamente di quello che ci raccontano.