La Spagna esce dal lungo letargo della crisi immobiliare e finanziaria, ammirata dai mercati internazionali che trascinano lo spread sul debito pubblico ai livelli inferiori dal 2005, con il rendimento sul titolo decennale che scende al 3,20%, mentre negli Stati Uniti raggiunge il 2,7%. Il debito pubblico continua però a crescere a ritmi esorbitanti, malgrado i bassi tassi di interesse, mentre la disoccupazione rimane al 26,5% a marzo, all’inizio della stagione turistica.
E’ vero che nel Paese c’è più occupazione rispetto allo scorso anno, quando il tasso di disoccupazione superò per alcuni mesi il 27%, rischiando di togliere questo primato negativo nell’area euro, anche alla Grecia. Si prevede che questa tendenza positiva si possa consolidare con l’inizio della stagione estiva. Tuttavia questo miglioramento è ancora molto debole: +115k posti di lavoro, che non bilanciano gli oltre tre milioni persi durante sei anni di crisi. Inoltre si tratta di impieghi a basso reddito, una costante di questa crisi che ha distrutto lavori ad alto valore aggiunto e ne restituisce una minima parte, ma di qualità molto inferiore. Tale fenomeno è ampiamente diffuso in tutte le economie sviluppate, gravemente colpite dalla grande recessione, ma anche in alcuni grandi economie, come gli Stati Uniti, in espansione da 58 mesi ad un ritmo troppo debole, rispetto alle precedenti crisi.
Il numero dei lavoratori spagnoli con contratto a tempo indeterminato continua infatti a scendere. A marzo il totale ha bucato al ribasso la soglia dei sei milioni, rispetto ai 7,6 milioni ante crisi. Si tratta di un ulteriore ribasso del -3%, rispetto al marzo 2013 ed il nuovo minimo nell’ultimo decennio.
Guardando inoltre la qualità dei nuovi occupati nel primo trimestre dell’anno, questo fenomeno è ancora più evidente. Su 100 persone che hanno trovato nuova occupazione, 42 hanno ottenuto un contratto stagionale a tempo pieno, mentre 30 a tempo parziale, sempre stagionale. Altri 9 con contratto a tempo determinato e part-time ed uno solo a tempo pieno. Solo 7 a tempo indeterminato e full-time, mentre l’ultimo 12% sono lavoratori autonomi.
L’analisi cruda del dato disillude sulla debolezza del mercato del lavoro spagnolo e non lascia prospettive confortanti su una facile ripresa. La maggior parte dei nuovi lavori sono infatti a scadenza di qualche mese, ma anche con frequenza giornaliera e questo fenomeno rimarrà predominante nella contrattazione lavorativa, non solo nei prossimi mesi. ma anche negli anni futuri. E’ evidente che con questo ritmo, il recupero del mercato del lavoro sarà molto, molto lento.
Il problema viene da lontano e non è di facile soluzione. La Spagna ha infatti un elevato numero di manodopera non qualificata che ha lavorato negli anni del boom economico, prevalentemente nel settore immobiliare. Questo settore è arrivato nel 2007 a contribuire alla creazione del Pil per il 18%, percentuale inferiore solo a quella cinese ed irlandese, mentre nel 2012 è imploso a poco più del 2%. La manodopera impiegata nel settore delle costruzioni, in parte straniera, è riemigrata nei Paesi di provenienza, mentre quella rimasta deve essere riqualificata con un lungo processo che durerà qualche anno.
Si spera nella ripresa economica. Le aziende, quando la domanda riparte, tendono a migliorare la produttività interna, prima di iniziare nuovamente ad assumere. Tuttavia, questo limite è già stato superato, in particolare in Spagna. Poi ovviamente si privilegiano contratti flessibili, in particolare a tempo determinato, in attesa di verificare la sostenibilità della ripresa. Dopo l’attuale recessione, nel Paese si è iniziato a creare impiego prima, rispetto ad altri periodi di ripresa. Questo è un elemento sicuramente positivo, malgrado la qualità dei posti di lavoro sia, come abbiamo già visto, piuttosto scadente.
Un altro dato allarmante è che nelle precedenti crisi. l’economia spagnola ha dovuto crescere almeno del +2% per generare nuova occupazione. Con le previsioni, sempre troppo ottimistiche e regolarmente errate, degli organismi internazionali (UE, BCE, FMI, OCSE, Banca Mondiale e compiacenti agenzie di rating), ne riparliamo comunque nel 2016.
E’ anche vero tuttavia che la distruzione di posti di lavoro è stata devastante e che la riforma del lavoro ha introdotto nuovi contratti con minimi salariali, che possono incentivare le imprese ad assumere. Tutto vero, ma ancora poco confortante se torniamo al problema del lavoro qualificato a tempo indeterminato. Quando e se inizierà a riprendersi ?
Difficile pensarlo, perché , in seguito a questa crisi, è mutata la struttura economica e non solo in Spagna. La crisi del lavoro è strutturale per il calo della domanda. Gli anni di crescita sostenuta ed infinita sono terminati e la sicurezza del posto del lavoro lascia il posto alla precarietà. Infine, le riforme del lavoro introdotte consentono alle imprese di aumentare la flessibilità dei contratti, riducendone anche l’onere. Temo quindi che quanto sostenuto anche da giuslavoristi spagnoli sia assolutamente fondato e che il ritorno ad un impiego a tempo indeterminato, sia un percorso molto lungo e forse inattuabile.
Tutto questo ha però degli effetti negativi sia sulla produttività, che risulta inferiore e sia sui salari, che non consentono poi una ripresa dei consumi sostenibile.
Infine molti giovani qualificati emigreranno, in cerca di lavori e salari adeguati al loro titolo di studio.
Il Governo non sta fermo, pur consapevole che non esiste la bacchetta magica. Nel febbraio 2013 ha presentato 100 idee per combattere la disoccupazione giovanile, che nel Paese supera il 50%. La Spagna dispone anche di 1 miliardo del Fondo Sociale Europeo per l’occupazione, oltre agli 881 milioni, specificamente assegnati all’occupazione giovanile.
Si parla anche dei mini-jobs, guardando all’esperienza però molto controversa tedesca. Molti economisti sostengono tuttavia che un grande recupero del mercato del lavoro (si parla di tasso ancora superiore al 20% nel 2018 !!) sarà difficile, senza rivedere la struttura economica dell’intero Paese. Nessuno però si sbilancia a disegnare da dove si debba partire. Questo conferma che il recupero, se ci fosse, sarebbe lungo e difficile. L’Europa può aiutare le banche e la tenuta del debito spagnolo, ma l’occupazione è un problema interno, difficile da risolvere in tempi brevi. Tuttavia, un livello di disoccupazione così elevato, e protratto per un lungo periodo, sfocia poi in tensioni sociali già ben presenti nel Paese.