Si continua a magnificare la ripresa americana. Ma dopo oltre cinque anni e tre trilioni di dollari di denaro stampati dalla FED i risultati sono alquanto modesti e le diseguaglianze sociali stanno per esplodere.
Oggi nella prima economia mondiale ci sono quasi 50 milioni di persone che vivono in povertà assoluta (15% del totale) e 147 milioni, pari al 47% dell’attuale popolazione, che ricevono almeno un sussidio dallo stato.
Tuttavia la realtà che ci viene dipinta dai media finanziari è molto diversa: indici azionari che continuano da mesi, quasi quotidianamente, ad aggiornare nuovi massimi storici, disoccupazione in calo al 6,7%, Pil che rimbalza del 4,2% nel terzo trimestre 2013, prezzi delle case in ascesa nell’ultimo biennio. Sembra un panorama invidiabile, ma dietro alla tela del dipinto si nascondono le macerie e le profonde ferite di una economia in progressivo e veloce declino.
Pochi immaginano che gli Stati Uniti siano uno dei Paesi nel quale lo stato sociale è molto presente, anche se non in tutti i settori. Licenziare è infatti molto più semplice che in Europa ed il lavoratore ha molte meno tutele che nel vecchio continente.
Dall’inizio della Presidenza Obama il numero di FOOD STAMPS, l’equivalente della nostra SOCIAL CARD con la quale è possibile comprare cibo nei principali supermercati del Paese, è più che raddoppiato, passando da 22 a 47,8 milioni in meno di sei anni. Anche i sussidi di disoccupazione sono stati estesi, in quasi tutti gli stati, dalle abituali 26 settimane fino a 99, praticamente da sei mesi a due anni.
Una parte dei sussidi di disoccupazione sono stati ridotti a 1,3 milioni di persone, da inizio anno, per i tagli sul bilancio concordati dal Parlamento; è previsto inoltre che arriveranno a colpire 5 milioni di cittadini, entro la fine del 2014. Le persone affette da questo provvedimento perderanno in media tra i 400€ ed i 600€ al mese. Anche i FOOD STAMPS sono stati ridotti con tagli medi di 29€ mensili a tessera.
In tutto il Paese si moltiplicano gli episodi di frustrazione che sfociano poi in violenza collettiva. Per ora sono confinati a qualche saccheggio di negozi in alcune sconosciute province, ma c’è il rischio reale che la scintilla si propaghi in qualche incendio, mettendo a ferro e fuoco qualche ghetto di città particolarmente povera o depressa. Nulla di nuovo: episodi ai quali abbiamo già assistito anche in Europa: da Parigi diversi anni fa, fino a Londra nel 2011 e Stoccolma nel 2012.
Attualmente ci sono quasi 6 milioni di giovani negli Stati Uniti tra i 16 ed i 24 anni che non lavorano e non frequentano la scuola. In alcune città sta diventando un problema difficile da gestire, con oltre 100k giovani nulla facenti in giro per le strade.
Ma l’amministrazione Obama non sembra preoccupata. Il tasso di disoccupazione continua a scendere negli ultimi mesi, pur sapendo che si tratta di una gigantesca bugia. Prima dell’ultima recessione i lavoratori impiegati erano il 63% di tutta la popolazione, già in calo rispetto al 64% di inizio millennio. Dall’inizio della crisi la percentuale è crollata sotto il 59% ed è sempre rimasta a quel livello. Il numero di abitanti continua infatti ad aumentare mentre quello dei nuovi occupati è insufficiente a coprire anche la richiesta di coloro che si affacciano per la prima volta sul mercato del lavoro (oltre 200k al mese).
Il tasso di disoccupazione è calato dal 10%, nel picco della crisi (2009), fino al 6,7% del mese scorso, malgrado il Paese non sia stato in grado di reimpiegare tutti i lavoratori licenziati durante la recessione, ma abbia ancora un deficit superiore ai 2 milioni di posti di lavoro rispetto al punto di partenza.
La discesa del tasso si spiega con l’uscita di centinaia di migliaia di lavoratori dalla forza lavoro ogni mese (a dicembre oltre 500k). In parte sono persone che vanno regolarmente in pensione, ma la stragrande maggioranza sono sfiduciati che smettono di cercare attivamente un impiego, perché non lo trovano da parecchio tempo.
Tutte le altre statistiche che riguardano il mercato del lavoro sono altrettanto sconfortanti e testimoniano purtroppo le gravi difficoltà del Paese. La percentuale di persone disoccupate oltre le 37 settimane ha raggiunto livelli storici, mentre il 77% dei lavoratori che hanno ritrovato un salario, dopo averlo perso durante la crisi, dichiara di percepire un reddito inferiore rispetto allo status precedente.
Proteste da McDonalds a WalMart, con scioperi e boicottaggi, sono esplose per richiedere l’incremento del salario minimo. Ogni nuova offerta di lavoro ha una domanda pari a 30/50 volte la richiesta, e quasi esclusivamente per manodopera poco qualificata e nella grande distribuzione. Parliamo ovviamente di stipendi modesti e spesso sotto il minimo settimanale delle 35 ore per evitare che il datore di lavoro debba accollarsi anche la nuova polizza di assistenza sanitaria (Obamacare), recentemente introdotta.
La tanto sbandierata ripresa del mercato del lavoro è praticamente intangibile nell’economia reale.
Sappiamo inoltre che il tasso di disoccupazione reale, lo U6, quello che comprende anche i lavoratori part-time ed i sotto impiegati, per necessità e non per volontà, eccede ancora il 13% (13,1%) ed è sceso molto meno, lo scorso anno, rispetto al tasso di ufficiale (U3).
Grazie al taglio dei sussidi sul lavoro ed alimentari gli americani perderanno, in un anno, oltre 40miliardi di dollari che sarebbero rientrati integralmente nel ciclo economico. E’ noto infatti che in questa situazione di difficoltà, o addirittura d’indigenza, l’extra gettito ricevuto dallo stato viene integralmente speso per soddisfare le esigenze primarie. Molti lavoratori (circa il 25%) non riescono infatti ad accumulare risparmi con salari così modesti e vivono con il “pay-check” (cedolino), mese per mese o con un orizzonte temporale ancora più ridotto, quando sono pagati a settimana.
Inoltre, a seguito del taglio dei sussidi, il tasso di disoccupazione scenderà ancora più velocemente nei prossimi mesi, lasciando credere che l’economia sia davvero in ripresa. I disoccupati che non saranno più sovvenzionati usciranno infatti dalla forza lavoro ed il tasso di disoccupazione potrebbe anche scendere di mezzo punto arrivando al 6%, ben al di sotto alla soglia del 6,5%, obiettivo della FED per annullare il quantitative easing.
La gravità della grande recessione ha impoverito gran parte della classe media che si è trovata costretta a ridurre i consumi ed a cercare fonti alternative di reddito, quali un secondo lavoro mal pagato. Alcuni proprietari immobiliari hanno trovato sollievo nella discesa dei tassi di interesse che ha permesso loro di rifinanziare il mutuo a tassi inferiori e di riutilizzare l’extra-denaro (minori interessi pagati sul debito) per le spese correnti. Non tutti però hanno potuto, in quanto il loro debito superava il valore della casa acquistata a causa del crollo dei prezzi a seguito dello scoppio della bolla immobiliare. Ma anche questo trucco è finito perché i tassi di interesse hanno cambiato rotta dallo scorso maggio, iniziando a salire dopo trent’anni ininterrotti di discesa ed improvvisamente le richieste di rifinanziamento sono crollate.
I segnali di povertà sono evidenti in tutto il Paese. Coloro i quali ha visitato gli USA negli ultimi anni sono rimasti sorpresi dal numero di homeless (senza dimora) visibili dappertutto, malgrado la polizia li osteggi e li metta ai margini della società. Si tratta di gente che negli scorsi anni ha perso la casa o il lavoro, o addirittura entrambi, e vive ai margini della società. Molte persone si sono stabilite in tende, alcune stipate sotto ponti per nascondersi all’opinione pubblica, allontanate continuamente dalle forze dell’ordine; mentre altre vivono in comunità meglio organizzate inserite in un contesto cittadino.
Questa è la cruda realtà di oggi degli Stati Uniti: una società che si sta disgregando con sempre maggiori disuguaglianze tra pochi ricchi (meno dell’1% detiene il 40% di tutte le ricchezze) che spendono sempre meno e sempre più poveri che non riescono a risparmiare nulla.
Ma l’ora della verità sta arrivando. Dopo oltre quattro anni di deficit oltre il trilione di dollari, anche il governo americano è costretto a ridurre la spesa pubblica, proprio quando ne aumenta invece la necessità. Questa volta, però, a rimetterci saranno sicuramente i più disagiati con i tagli sopra indicati, mentre gli indici azionari volano a Wall Street grazie al printing money della FED. Ma il “wealth effect” (effetto ricchezza) auspicato dalla banca centrale non si è verificato e l’economia reale langue, in attesa che la bolla finanziaria, alimentata anche dalla stessa autorità monetaria, scoppi.
Non è solo l’Europa ad avere grossi problemi di debiti. Quello sovrano americano è praticamente raddoppiato durante l’amministrazione Obama: da 9,5 trilioni ai 17,33 di oggi, una vera voragine generata per salvare auto, banche e mantenere la coesione sociale. Ma anche al di là dell’oceano i nodi stanno venendo al pettine ed il debito cresce (108% del PIL), ormai fuori controllo.